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Maxiprocesso, una svolta nella lotta a Cosa nostra: 349 udienze, 1314 interrogatori, 635 arringhe difensive di oltre 200 avvocati, 475 imputati, 19 ergastoli inflitti, 327 condanne, 114 assoluzioni, 2665 anni di reclusione.

La prima udienza il 10 febbraio 1986, la conclusione  del processo di primo grado il 16 dicembre 1987. Da quel momento è sancito che, “la mafia esiste”.

Prima di allora il sentire comune era l’ormai noto, “la mafia non esiste”, solo i sindacalisti, per questo uccisi, parlavano di mafia. A seguirli negli anni 70 con nuove forme di comunicazione e con la sua ironia solo Peppino Impastato, “suicidato” da….. con l’etichetta di terrorista.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per chi non conoscesse il caso di Peppino Impastato

 

il 9 maggio del 1978 Peppino Impastato esplode sui binari della ferrovia Palermo –Trapani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In un fonogramma il procuratore capo Martorana scrive:  “Attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda. Verso le ore 0,30-1 del 9.05.1978 persona allo stato ignota, ma presumibilmente identificata in tale Impastato Giuseppe si recava a bordo della propria autovettura all’altezza del km. 30+180 della strada ferrata Trapani-Palermo per ivi collocare un ordigno dinamitardo che, esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore.”

Tale tesi fu abbracciata unanimemente da forze dell’ordine, magistratura, stampa e partiti politici dell’arco parlamentare.

 

1979 Il consigliere istruttore Rocco Chinnici spicca mandato di cattura  per falsa testimonianza nei confronti di Giuseppe Amenta. Giovanni Riccobono, compagno di Peppino e cugino dei fratelli Amenta, aveva dichiarato che Giuseppe Amenta, dove lui lavorava, il giorno precedente il delitto gli aveva detto: «Non andare domani a Cinisi: mio fratello mi ha detto che deve succedere qualcosa di grosso».

 

1990 Il ministro dell'Interno Antonio Gava rispondendo, con due anni di ritardo, a un'interrogazione parlamentare sostiene che non risulta che Impastato sia stato ucciso dalla mafia e che pertanto non spetta ai familiari l'indennizzo previsto per le vittime di mafia.

 

1992 A seguito dell’ordinanza-sentenza istruttoria predisposta dal consigliere istruttore Rocco Chinnici, (ucciso dalla mafia il 29 luglio 1983), poi completata e firmata dal suo successore Antonino Caponnetto. il Tribunale di Palermo archivia il caso Impastato.

Si riconosce che Impastato è stato ucciso dalla mafia per il suo impegno di denuncia, ma che non si possono individuare i responsabili del delitto.

 

Nel 1994 dopo una raccolta di firme in una petizione popolare il Centro Impastato presenta un’istanza per la riapertura dell’inchiesta chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo appartenente alla mafia di Cinisi.

 

Nel marzo 1996 Felicia Bartolotta Impastato e Giovanni Impastato rispettivamente madre e fratello e di Peppino unitamente al Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare sui comportamenti dei carabinieri nei momenti seguenti al delitto.

 

Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Palazzolo l’indagine viene riaperta.

 

1999 si svolge l’udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo,

mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata.

Il processo si svolgerà successivamente in video-conferenza.

 

Nel 2001 Vito Palazzolo viene riconosciuto colpevole e condannato a 30 anni di reclusione.

Nel 2002 Gaetano Badalamenti viene condannato all’ergastolo.

 

 

Tra depistaggi e verità

 

Viene costituito nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia il “Comitato sul caso Impastato”;

 

la relazione approvata il 6 dicembre del 2000 sancisce le responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini;

 

la procura di Palermo nel 2011 apre le indagini sul depistaggio,

iscritti nel registro degli indagati ci sono quattro carabinieri che parteciparono alle perquisizioni in casa Impastato dopo l’omicidio: il generale Antonio Subranni per favoreggiamento, Carmelo Canale, Francesco De Bono e Francesco Abramo per falso.

 

 

 

I depistaggi

 

Lo stesso giorno dell’assassinio di Peppino Impastato veniva ritrovato a Roma il corpo dell’onorevole Aldo Moro il cui assassinio veniva rivendicato dalle Brigate Rosse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’è chi pensa ad un filo che leghi l’omicidio Moro con quello d’Impastato. Certo è che facile fu avvalorare la tesi che Peppino Impastato fosse un terrorista morto mentre preparava un attentato, e che la visibilità mediatica dell’assassinio Moro fece passare in secondo piano quello d’Impastato.

Il giorno dopo al prof. Del Carpio vengono consegnati frammenti del corpo di Peppino e una pietra macchiata di sangue ritrovata dai compagni di Peppino all’interno di un casolare nei pressi del binario, dove, evidentemente Peppino era stato portato e tramortito.

Una pietra con macchie di sangue era già stata consegnata anche al maresciallo dei carabinieri di Cinisi dal necroforo comunale che aveva raccolto i resti del corpo di Peppino. La pietra non è mai stata ritrovata.

Nonostante il ritrovamento della pietra con il suo sangue e la distanza della sua macchina dal luogo dell’esplosione, l’allora maggiore Subranni, poi promosso generale, imbastì la tesi del terrorista saltato in aria mentre preparava l’attentato.

 

 Come raccontato anche nel film “i cento passi” un filo attaccato alla batteria della macchina di Peppino fu motivato come collegato alla bomba esplosa. Peccato che la macchina era molto distante dall’esplosione e che quel filo servisse invece per attaccarvi le  trombe/megafono per lo speakeraggio della compagnia elettorale che vedeva Peppino Impastato candidato.

 

Nonostante una relazione di servizio redatta da un brigadiere dei carabinieri dica che l'esplosivo usato era esplosivo da mina impiegato nelle cave, nessuna perquisizione avviene nelle cave della zona notoriamente gestite dai mafiosi. Vengono  invece perquisite le case della madre e della zia di Impastato e quelle dei compagni di Peppino che vengono interrogati come complici dell'attentatore.

 

Il maresciallo Alfonso Travali, che allora dirigeva la caserma di Cinisi nel suo rapporto del 30 maggio scriveva testualmente: «anche se si volesse insistere su un’ipotesi delittuosa, bisognerebbe comunque escludere che Giuseppe Impastato sia stato ucciso dalla mafia»

Il pentito Francesco Onorato, in una sua dichiarazione del 1997 afferma che «era risaputo che Badalamenti avesse nelle mani i Carabinieri del territorio di sua pertinenza».

Chiarificatrice è la testimonianza del pentito Francesco Di Carlo, che dichiara che: «la stazione dei carabinieri di Cinisi non li disturbava, facevano finta di niente perché ci avevano fatto parlare il colonnello Russo. Al colonnello Russo ci avevano parlato i Salvo e Tanino Badalamenti e si comportavano bene». Successivamente Badalamenti si sdebiterà opponendosi all’eliminazione del colonnello Russo decisa da Luciano Leggio.

Secondo il pentito Antonino Calderone, Russo era confidente del boss mafioso di Riesi Giuseppe di Cristina ad anche lui si oppose all’uccisione del colonnello.

Di Carlo interrogato dai magistrati racconta anche di aver visto più volte Subranni negli uffici dei Salvo. «Ho sentito parlare la prima volta di lui quando era Maggiore. Non l’ho mai visto con l’uniforme, ma l’ho visto dai Salvo e da Lima. Non so per quale motivo però», Dichiara ancora: «Per quello che mi dissero Nino Salvo e Gaetano Badalamenti, Nino si rivolse a Subranni per chiudere le indagini sull’omicidio Impastato in quel modo, senza che venisse coinvolto Badalamenti».

Il pm Del Bene aveva scoperto una serie di discordanze nell’inchiesta dei carabinieri. Tra queste non era mai stata interrogata Provvidenza Vitale, casellante di turno al passaggio a livello tra Cinisi e Terrasini la notte tra l’8 e il 9 maggio 1978. I carabinieri scrissero che era irreperibile, invece, a parte una breve partenza per andare a trovare alcuni parenti negli Stati Uniti, la donna che non si è mai mossa da Cinisi. Interrogata dopo trentacinque anni, ormai ultranovantenne, disse di non ricordare più nulla di quella notte. La donna avrebbe potuto essere una testimone chiave.

 

 

Rimane ancora oscura la vicenda legata alla sparizione dei documenti sequestrati a casa di Peppino Impastato lo stesso giorno dell'omicidio. I quattro carabinieri che parteciparono alle perquisizioni e che portarono via l’archivio furono successivamente iscritti nel registro degli indagati.

 

Il sostituto procuratore Franca Imbergamo intervistata dalla nostra Radio 100 passi nel 2011 ci raccontava di non aver ricevuto quel materiale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cosa poteva esserci tra i documenti di Peppino di tanto importante?

 

Lo stesso procuratore, pur sottolineando che il compito della magistratura è fare processi su prove certe, sollecitata afferma che: «ipotesi verosimile è che Peppino Impastato possa aver ricostruito una serie di rapporti imbarazzanti tra istituzioni, non solo limitate al territorio di Cinisi, ed il clan Badalamenti».

 

Diverse sono le ipotesi o le fantasticherie, visto che nessuno sa cosa contenevano quegli appunti. La più accreditata riguarda l’omicidio dei carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta avvenuto il 27 novembre del 1976 nella casermetta di Alcamo Marina.

Le piste seguite andarono dalla più accreditata del terrorismo rosso, che vide la perquisizione anche a casa i Peppino Impastato, sino all’assassinio mafioso.

 

Peppino Impastato, poco dopo, in un volantino scriveva perentoriamente di strage di stato e servizi deviati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’omicidio fu invece attribuito a quattro giovani del luogo. Giuseppe Vesco, Gaetano Santangelo, Giuseppe Gulotta e Vincenzo Ferrantelli. Vesco morì “suicida” in carcere, impiccato nonostante fosse privo della mano destra. Gli altri tre invece furono torturati e convinti a confessare. La verità che vede la scarcerazione dopo 32 anni arrivata grazie al tardivo racconto dell’ex brigadiere dell’Arma dei Carabinieri Renato Olino che partecipò allora alle indagini.

 

In quegli anni Alcamo Marina era centro del contrabbando di sigarette e del traffico d’armi.

Nello stesso periodo Gladio aveva un centro di addestramento proprio in provincia di Trapani.

Peppino impastato sapeva di più?

 

Dove sono finiti i documenti prelevati a casa sua immediatamente dopo la morte?

 

il sostituto procuratore Franca Imbergamo  riuscì a farsi consegnare dall'Arma una copia del materiale sequestrato. Su un foglio senza intestazione redatto nel 1978 c’era scritto: "Elenco del materiale sequestrato informalmente a casa di Impastato Giuseppe".

Il sequestro informale è una formula inesistente in diritto, pertanto quei documenti sono stati sequestrati illegalmente. Agli atti dell’inchiesta anche un altro verbale, questa volta autorizzato ma che certifica il sequestro solo di sei fogli. Il fratello Giovanni ricorda che furono portati via almeno quattro sacchi di quelli grandi da spazzatura, ma solo i sei fogli verbalizzati sono stati restituiti alla famiglia, tra questi il “proposito di suicidio” di Peppino.

 

Ad effettuare la perquisizione a Casa di Peppino Impastato lo stesso carabiniere che partecipò alle torture a seguito delle quali Gulotta confesso l’assassinio dei carabinieri di Alcamo Marina.

 

     A condurre le indagine sulla strage della casermetta di Alcamo fu il colonnello Giuseppe Russo allora capitano del nucleo operativo di Palermo, lo stesso condusse anche le indagine sulla morte di Peppino Impastato.

 

ULTIME

La pista mafiosa non fu presa in considerazione dai carabinieri,  Ritenuto responsabile del depistaggio dai pm Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene -, Subranni “aprioristicamente, incomprensibilmente, ingiustificatamente e frettolosamente escluse la pista mafiosa”, scrive il Gip, che parla di “vistose, se non macroscopiche anomalie delle attività investigative”.

 

Nel settenbre del 2018 è arrivata la definitiva archiviazione.

"Un contesto di gravi omissioni ed evidenti anomalie investigative”, scrive il gip di Palermo Walter Turturici; ma per il generale dei carabinieri Antonio Subranni, che nel ’78 svolse le indagini sulla morte di Peppino Impastato (un assassinio per il quale molti anni dopo sarà condannato il boss di Cinisi Gaetano Badalamenti), arriva la prescrizione per il reato di favoreggiamento.

La prescrizione, arriva pure per i tre sottufficiali che rispondevano di concorso in falso e che la notte del delitto fecero le perquisizioni a Cinisi: Carmelo Canale, Francesco Abramo e Francesco Di Bono.

 

 

Per concludere

 

  Il colonnello Russo, personaggio con luci ed ombre, fu assassinato dalla mafia nell’agosto del 1977 mentre si occupava del caso Mattei.

 

Il tenente colonnello Carmelo Canale, indagato per falso nel caso Impastato, (reato caduto in prescrizione), dopo una lungo percorso processuale è stato assolto dall'accusa di concorso in associazione mafiosa e dopo il reintegro nell’arma è stato sentito recentemente come testimone nel processo sulla Trattativa in corso a Palermo.

Il generale Antonio Subranni indagato per favoreggiamento nel caso Impastato, (reato caduto in prescrizione), è stato condannato a dodici anni nel processo sulla Trattativa svoltosi a Palermo.

 

     Che Peppino Impastato sia stato tra i primi a parlare pubblicamente di mafia è cosa nota. Meno nota è invece la riflessione che il caso di Peppino Impastato possa essere stato anche il primo momento delle trattative stato mafia.

 

E…..  Portella della Ginestra?

 

A trent’anni dal maxiprocesso tra intrighi stato-mafie ed i depistaggi nel caso Peppino Impastato.

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